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Parrocchia di Billiemme

"Il fico sterile e la nostra vita: riusciamo a portare frutto?"

L'omelia di Padre Colombo

Chiesa Billiemme Vercelli

«Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo»: le parole di Gesù nel Vangelo di Luca (13,1-9) hanno risuonato con forza il 23 marzo, nella terza domenica di Quaresima.

Cristo smonta l’idea che la sofferenza sia una punizione per i peccati e chiama ogni uomo e donna a una revisione sincera della propria esistenza. Il riferimento ai Galilei uccisi da Pilato e alle vittime del crollo della torre di Siloe diventa occasione per un avvertimento chiaro: nessuno può sentirsi al sicuro solo perché non ha vissuto una disgrazia, ma tutti sono chiamati a una conversione autentica. La parabola del fico sterile rafforza ulteriormente questo messaggio: il Signore è paziente, concede tempo e opportunità, ma si aspetta frutti concreti. Quando Gesù racconta che «sono tre anni che la pianta non porta frutto, di sicuro allude alla Sua ’semina’», perché «da tre anni Lui cerca di annunciare la presenza di Dio attraverso la Sua incarnazione, ma questa manifestazione entra in un orecchio ed esce dall’altro», ha spiegato padre Alberto Colombo celebrando nella chiesa di Billiemme a Vercelli. «È chiaro che questa allusione esiste perché non viene accolta, innanzitutto, dai grandi capi e magari anche dal resto del popolo di Israele.

Questo tagliare, questa voglia di eliminare la zizzania, è un bisogno per arrivare alla purificazione», è la considerazione formulata dal marianista, sottolineando che «nell’intervento del contadino» è riscontrabile «la pazienza che Cristo chiede al Padre celeste per poter vedere se siamo capaci di ‘riprendere in mano’ noi stessi, quindi portare frutto, saper ‘trafficare’ (= utilizzare) i nostri cosiddetti talenti». Il fulcro dell’intervento omiletico è stato «l'invito, in questa terza domenica di quaresima, a capire se stiamo portando frutti o meno». L'impegno spirituale assunto nel giorno delle Ceneri deve essere rinnovato personalmente: «Gesù dice a ognuno di noi: "Nella tua vita riesci a portare avanti la cultura di aprire il tuo cuore all'altro? Quando si parla di elemosina è un cuore che si apre verso il fratello? Riesci a portare avanti la tua apertura a Dio attraverso la preghiera? Riesci a controllare te stesso, quindi essere libero e non dominato nelle varie dipendenze di qualsiasi genere?». Colui o colei che riesce a rispondere positivamente a questi interrogativi, come asserito da padre Alberto, è «una persona che riesce, veramente, a far 'saltare fuori' da se stessa questa vocazione a essere un cuore solo e un'anima sola, a partire da chi ha accanto». Riflettere sulla propria vita, lasciandosi interpellare dagli eventi e dalla Parola, come Mosè davanti al roveto ardente, significa accogliere lo sprone alla conversione, con docilità e disponibilità: «Chiediamo al Signore di donarci un cuore sensibile alla Sua presenza, capace di essere toccato da Dio, così che possiamo aiutare anche gli altri a lasciarsi guidare da Lui e a trovare nuova vita attraverso il Suo amore», ha chiosato il presbitero eusebiano. 

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