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Il racconto

Quella visita della "Signora" in Germania

Aprile 1924: nelle fila della Juve due vercellesi furono protagonisti

Quella visita della "Signora" in Germania

Le carriere dei due fratelli Giovanni e Oreste Barale di Pezzana si incrociarono alla Juventus, di cui furono mattatori, insieme all’altro vercellese, l’amico Viri Rosetta. Anzi, fu proprio il più grande dei due Barale, Giovanni (detto II) a far notare alla neo dirigenza della Juve targata Edoardo Agnelli - fondatore del celebre “stile” - le performance di Oreste, che tanto si era messo in luce nelle Riserve dei Grigi dell’Alessandria nel 1924-25, pur senza mai esordire in prima squadra.

In quella stagione, caratterizzata dal primo scudetto (detto “delle pistole”) del Bologna allenato dall’austriaco Hermann Felsner (dopo 5 infuocati, incredibili spareggi per assegnare il vincitore della Lega Nord, conteso dal Genoa e culminati con una leggendaria partita giocata alle 7 di mattina il 9 agosto 1925, a porte chiuse, spostata da Torino a Milano all'ultimo momento sul terreno di gioco “Vigentino” della Società Ginnastica Forza e Coraggio), Giovanni Barale e Viri Rosetta (squalificato in campionato ma utilizzabile per le amichevoli) presero parte ad una storica tournèe in Germania, a cui prese parte la squadra bianconera. Nella foto, tratta dal volume “Juventus: la storia, il mito, I protagonisti - ed. Dier”, spiccano il vice presidente Sandro Zambelli, l’allenatore Jeno, ossia Eugenio Karoly (scritto Karoli, all’italiana: morirà di attacco cardiaco il 28 luglio nella sua casa di Rivoli, poco prima della finale di Lega Nord della Prima Divisione tra Juventus e Bologna e della successive conquista dello scudetto 1925-26, sostituito in panchina da Joszef Viola, anch’egli presente alla tournèe), il fuoriclasse Virgilio Felice Levratto, quello che sfondava – e lo faceva davvero – le reti della porta quando segnava (prestato per l’occasione dal Vado e in procinto di passare al Verona e quindi al Genoa nel 1925), il futuro portiere campione del mondo Combi, l’ala spezzina Federico Munerati, appena pescato da Karoly dal Novara (con la Juve vincerà 4 scudetti) e il capitano per eccellenza della Juve Carlo Bigatto, che era nato a pochi chilometri dalla Provincia di Vercelli nell’alessandrina Balzola (a due passi da Pertengo).

Celebre per giocare sempre indossando un simpatico copricapo rigorosamente bianco e nero, Bigatto militò nelle fila della Juventus dal 1913 al 1931, totalizzando 249 presenze e 2 due reti. Sarebbe stato un eccellente testimone della grandeur della Pro Vercelli, più volte affrontata, uscendone spesso sconfitto. Tutti compagni appunto di Giovanni Barale, detto II (Pezzana, 1º luglio 1895 - Torino, 11 giugno 1976) mediano/ala che aveva iniziato la sua carriera calcistica nelle fila dell’Amatori Torino nel 1919 (8 presenze e 2 reti). Nella stagione CCI 1921-22 approdò alla Juventus, passando sporadicamente, nell'aprile del 1922 al Torino (3 presenze, 1 rete), dove resterà fino al dicembre dello stesso anno, per poi tornare alla Juve (e quindi entrando in quel ristretto novero di giocatori che possono orgogliosamente dire di aver indossato entrambe le due gloriose maglie dei club di Torino). Durante le sue stagioni in bianconero (che si chiudono nel 1926-27) colleziona 74 presenze e 4 reti. La sua ultima partita con la Juventus fu fuori casa contro il Parma, il 27 febbraio 1927, terminata 0-2.

Dopo un anno di stop militerà Rapallo Ruentes nel 1928, società nella quale chiuderà la sua carriera durante la stagione 1930-31. In Germania, Rosetta (ancora schierato in avanti) segnò 3 reti. Le gare furono Brandeburgo-Juventus 3-3 (a Dresda, il 16 aprile 1924), ad Amburgo Union Altona-Juventus 2-1 (il 17/4), ad Hannover il 20 aprile Hannover-Juventus 0-6, a Brema Bremer SV-Juventus 0-3 (21/4), a Lipsia Lipziger-Juventus 1-2 (25/4) e Brandeburgo-Juventus 0-1 (27 aprile 1924). Il più talentuoso dei due Barale fu comunque Oreste (Pezzana, 4 ottobre 1904 - febbraio 1983), della cui traiettoria juventina abbiamo già parlato nel numero precedente e che con la Signora del Calcio (a quei tempi “Fidanzata d’Italia”) vincerà 2 scudetti. Nel 1931-32, chiuso dall'esplosione in bianconero di Luigi Bertolini, Oreste passa - anzi, torna - all'Alessandria, sempre in Serie A. E nella città mandrogna è certamente più ricordato che a Vercelli, tanto da diventare un beniamino dei tifosi per l'onestà e la dedizione mostrata sul campo “Moccagatta” (che era stato appena inaugurato, nel 1929). Dopo la retrocessione dei Grigi avvenuta al termine della stagione 1936-37 Barale III passerà al Vigevano, con cui disputa tre stagioni da riserva nella serie cadetta, e al Cantù. Chiude la carriera nel Lecco, nel campionato di Serie C 1942-1943. Fu anche trainer, iniziando come allenatore-giocatore a Cantù nella stagione 1940-41 per due annate e poi al Lecco in quella successiva.

Nell'immediato dopoguerra allena nuovamente il Lecco, il Mortara e il Monza: con i brianzoli termina a centroclassifica, pur disponendo di una squadra che segna una media di quasi 2 reti a partita. Nell'aprile 1951 viene chiamato alla guida del Pavia, nel campionato di Serie C, sostituendo Alfredo Foni passato sulla panchina della Sampdoria. Conclude il campionato al terzo posto in girone A, dietro Monza e Sanremese, ma nella stagione successiva, dopo una pesante sconfitta sul campo di Vigevano, viene esonerato in favore di Giovanni Brezzi. A partire dal 1953 sceglie di allenare solamente formazioni di IV Serie o dilettantistiche, per poter conciliare l'attività con la professione di impiegato di banca: Abbiategrasso, Cantù, Verbania, Piacenza, in Svizzera al Chiasso nella stagione 1960-61 nella “Lega Nazionale B” helvetica. Rientrato in Italia, chiuderà la carriera di trainer alla Pro Sesto nel campionato di Serie D 1961-62. Di lui, il grande giornalista Valdimiro Camititi, scrisse: “Oreste indica il passaggio dalla Juventus sperimentale a quella della gloria piena, solare; il vercellese di Pezzana gioca sette campionati, totalizza 115 presenze, riesce due volte ad infilare la porta avversaria, il suo nome è legato anche al primo dei cinque scudetti anni trenta, oltre che a quello del valoroso sventurato Karoly. I faticatori appartengono alla storia vera del calcio”.

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