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Biblioteca civica

Trino: successo di pubblico per "La marcia su Roma cento anni dopo"

La relazione del professor Gianni Oliva

Trino - La marcia su Roma

Irico e Oliva

Grande successo di pubblico la scorsa settimana per ascoltare il professor Gianni Oliva in biblioteca dove ha trattato l’argomento de “La marcia su Roma cento anni dopo”. L’appuntamento è stato promosso dall’Anpi e patrocinato dal Comune di Trino.

Oliva ha fatto notare come Mussolini e i fascisti presero il potere ma in sostanza gli fu anche permesso di farlo, e ha messo in risalto come non viene praticamente mai ricordato che l’Italia la Seconda guerra mondiale l’ha persa e ci ha rimesso sui confini, specialmente sul settore nord orientale. Introdotto da Pier Franco Irico, presidente dell’Anpi trinese, Oliva ha illustrato come si è arrivati alla marcia su Roma: "Il fascismo parlava della marcia su Roma come un atto rivoluzionario per conquistare il potere, esaltando quel momento che però non fu tale. Le alcune migliaia di fascisti che partirono armati verso Roma, in città non ci entrarono il 28 ottobre, quando invece si fermarono alle porte di Roma. Benito Mussolini non era presente, si trovava a Milano per trattare l’entrata dei fascisti in un governo che non doveva necessariamente essere guidato da lui. La marcia era un’altra arma che poteva avere a disposizione. Il re chiamò Mussolini per dargli l’incarico di formare il governo e le camicie nere entrarono a Roma solo in quel momento. E quello di Mussolini fu un governo di coalizione con altri partiti ed ottenne una maggioranza amplissima. Il fascismo quindi non iniziò con la marcia su Roma, ma dopo il delitto Matteotti, nel 1925".

Biblioteca Trino

Oliva ha continuato: "Bisogna quindi capire come mai tante persone liberali votarono il governo Mussolini e si deve guardare al dopo Prima guerra mondiale, evento che ha cambiato il modo di vivere, facendo fare a ricchi e poveri le stesse cose, mobilitando 5 milioni e 200 mila soldati. Nessuna famiglia non ha avuto almeno un componente impegnato in guerra. E quel conflitto fece nascere anche l’opinione pubblica che prima esisteva solo per l’élite della società. Inoltre ci fu l’emancipazione femminile: la guerra portò le donne ad andare a lavorare al posto dei loro uomini partiti per il conflitto e dopo la Prima guerra mondiale il mondo femminile era desideroso di avere il diritto al voto. Mussolini glielo diede nel 1925 per eleggere i sindaci, ma poco dopo rimosse quei sindaci sostituendoli coi podestà".

Oliva ha messo  in risalto un punto importante: "La classe dirigente politica dopo la guerra non era attrezzata per parlare alla gente, alle masse, si alternarono sei governi in tre anni dopo quella guerra sanguinosa, vinta da nessuno, persa da qualcuno. L’Italia ne uscì a pezzi, con 630.000 morti, un milione di invalidi di guerra, tutto per conquistare Trento e Trieste che insieme facevano circa 200.000 persone. L’Italia era un Paese agricolo e lo colture più pregiate, come vigne e oliveti, in guerra furono abbandonate e perché si riprendessero ci volle molto tempo. La Fiat diventò tale come forza perché produsse armi per lo Stato e passo da 4.000 a 42.000 dipendenti durante la guerra, ma dopo il conflitto, tornando a fare automobili, gliene servirono solo 10.000 e gli altri restarono a casa senza nulla. La classe dirigente liberale non ha saputo intercettare quei bisogni. Inoltre c’era lo spettro della Russia e i temuti movimenti rivoluzionari. L’Italia aveva aderito al patto di Londra ma prevalse il presidente americano e venne fatto nascere il Regno di Jugoslavia per colmare un vuoto di potere, mettendo insieme popoli molto diversi, per evitare un conflitto tra la Russia bolscevica e l’Italia, che restò senza il porto di Fiume".

"Ci fu anche il dibattito sulla guerra e le forze della destra nazionalista e dei fasci esaltarono l’Italia della Prima guerra mondiale e chi la fece e tornò a casa, così i reduci si schierarono tutti con la destra. La sinistra invece guardava al modello bolscevico per rifarlo in Italia. Nel 1920 la sinistra portò i lavoratori a occupare le fabbriche e fu sul punto di conquistare il potere, ma le rivoluzioni si fanno conquistando i palazzi del potere, come avevano fatto in Russia, e non le fabbriche, che il governo Giolitti lasciò occupate senza intervenire e aspettando che gli occupanti finissero le scorte. Così si sgonfiò quel movimento e in seguito nacque la marcia su Roma. Essendo in lotta due estremi, come un elastico tirato da una parte viene rilasciato, si arriva all’estremo opposto. Mussolini a seguire prese il controllo del potere mettendo gli uomini di fiducia nei posti che contano, come i capidipartimento, non i ministri. Celebrò la guerra, fece creare i viali della Rimembranza e piantare un albero per ogni caduto, fece monumenti, celebrò la vittoria. Il fascismo ha saputo occupare il potere, Mussolini capì che c’era un’opinione pubblica da conquistare, fece controllare l’istruzione e l’informazione".

La marcia su Roma: "Il Re non firmò lo stato d’assedio, che avrebbe disperso in un attimo i fascisti, perché si sentiva più tutelato da Mussolini, mentre la sinistra era contro la monarchia. L’errore del Re fu poi nel ’24 quando dopo il delitto Matteotti gli chiesero di allontanare Mussolini ma non lo fece e questi il 3 gennaio 1925 assunse pieno potere". Oliva ha concluso sul secondo conflitto: "La Seconda guerra mondiale l’Italia l’ha persa ma a scuola non se ne parla molto. Si celebra la liberazione, com’è giusto, ma bisogna ricordare che il nostro Paese perse il conflitto e perse diverse terre sui confini orientali. Ci è stato raccontato che siamo stati liberati dal fascismo ma va ricordato che questo era andato al potere con quasi la totalità dei consensi della classe dirigente. Si parla dei professori che rifiutarono il giuramento fascista ma va rimarcato che la nettissima maggioranza lo firmò. Non ci fu una presa di coscienza, siamo fuori strada se pensiamo che sia stato il male da solo a prendere il potere, in molti gli avevano permesso di farlo".

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