Il racconto
di Anna Ceoloni
13 Aprile 2021 16:03
L'ago che entra nella pelle, un leggero pizzicore ed è tutto finito. Al giorno d'oggi le "punture" (comprese quelle per i vaccini anti-Coronavirus) sono quasi impercettibili. Ma non sempre è stato così. Lo ricorda bene Maria Caretta, storica infermiera di Livorno Ferraris che ha da poco compiuto 90 anni. Le sue mani hanno impugnato attrezzi del mestiere molto diversi da quelli che utilizzano i sanitari di oggi. A cominciare appunto dalle siringhe. «Non erano di plastica ma di vetro, e soprattutto non erano usa e getta - ricorda la donna - Così per poterle riutilizzare andavano sterilizzate. Si inserivano in una scatola apposta e si facevano bollire». L'iniezione era quindi impegnativa, anche per chi la subiva: l'ago era più spesso di quelli attuali, e quando entrava nella pelle si faceva sentire. Eppure, nonostante la maggior difficoltà a garantire l'igiene, quelle siringhe erano sicure. «Non mi è mai capitato di essere infetta da un paziente» sottolinea.
Caretta, originaria di Moncrivello, iniziò a effettuare le prime punture come assistente nell'allora ospedale. Ai suoi tempi infatti non occorreva andare a Vercelli o a Chivasso per farsi operare. «A Livorno si facevano ad esempio gli interventi per appendicite. Grazie a uno di questi ho conosciuto mio marito, Domenico Lavarino» ricorda. Dopo il diploma di infermiera Caretta avrebbe voluto specializzarsi come ferrista in sala operatoria, ma l'arrivo della figlia Caterina la portò a occuparsi di assistenza domiciliare. «Grazie ai dottori Barbero e Terzago, che mi spinsero a intraprendere questo percorso, iniziai ad andare di casa in casa per fare medicazioni, flebo, iniezioni» ricorda Caretta.
I turni erano impegnativi: l'infermiera del paese doveva seguire i malati anche di notte. «Lavoravo ininterrottamente per sette giorni. Il riposo non era previsto» sottolinea Caretta. La sua disponibilità continua la portò a essere anche testimone di fatti drammatici. «Una notte mi dissero di andare a soccorrere una donna che si trovava sui gradini della chiesa - ricorda - Quando arrivai scoprii che la poveretta era stata assassinata: aveva ancora un coltello conficcato nella schiena».
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