Percorsi di crescita
di Rosa Palma
17 Maggio 2021 15:09
Il compito genitoriale, lo abbiamo più volte evidenziato, è forse quello più complesso. E' opinione comune che insegnare voglia dire proporre al bambino o anche al ragazzo modi di agire, di pensare o verità precostituite e preconfezionate perché ...”si è sempre fatto così!”.
Nulla di più errato, perché in questo modo sembra che l'insegnamento sia a rigida trasmissione verticale e quindi passi attraverso il processo “io adulto detengo il sapere e so come si fa e tu bambino devi ascoltare e apprendere”. Tuttavia, così facendo, sottraiamo al bambino una delle capacità più importanti: quella di autodeterminazione. Insegnare a credere in verità assolute e senza che esse siano messe in discussione vuol dire creare menti piatte e togliere come dicevamo la capacità di autodeterminazione e di autoefficacia, componenti fondamentali che convincono gli individui di essere capaci di dominare specifiche attività e situazioni del proprio funzionamento psicologico e sociale e nel contempo di imparare dall'esperienza. Inoltre, non ultimo in termini di importanza, questo processo innalza notevolmente la nostra autostima. Si comprende allora che diventa necessario allenare i bambini a pensare, a porsi domande, a sviluppare la capacità di essere critici e sensibili. Ciò è rilevante anche dal punto di vista cognitivo, in quanto la sfida di affrontare problemi ed errori è avvincente, non richiede solo sforzo ma anche un processo di adattamento e di cambiamento.
I problemi mettono in moto tutte le nostre risorse cognitive e la loro risoluzione comporta una rimodulazione dei nostri stessi schemi mentali. E i bambini, in quanto tali, sono terreno molto fertile per l'esercizio del pensiero: aiutarli a sviluppare il ragionamento e la capacità di farsi domande consente loro di sviluppare capacità emotive, di riconoscerle, di nominarle, sconfiggendo in questo modo la paura di approfondire l'ignoto intendendo per esso ciò che ci circonda e ciò che si sente dentro. E' proprio dall'errore che il bambino imparerà e andrà avanti fortificandosi e arricchendo il proprio bagaglio di mezzi ed esperienze per affrontare la vita. Un bambino abituato a interrogarsi sul perché delle cose, ad ascoltare l'altro, a riconoscersi in ciò che dice l'altro, a confutare una tesi con argomentazioni valide, a domandarsi cosa sente, avrà a disposizione degli strumenti utilizzabili sempre. Non è un lavoro facile, anzi tutt'altro; ma, se attivato fin dai primi anni di vita, col passare del tempo la mente si abitua a ragionare e diventa un automatismo di cui non si può fare a meno. Se insegniamo ai bambini ad accettare senza ragionare ogni informazione che riceveranno non sarà significativa e non genererà cambiamenti nel loro cervello, sarà un'ennesima informazione immagazzinata in un cassetto della memoria e col passare del tempo svanirà. Invece quando pensiamo a come risolvere un problema o quando cerchiamo di capire dove stiamo sbagliando inneschiamo un processo che comporta una crescita. Un bambino abituato a pensare, a mettere in discussione la realtà e a trovare soluzioni comincia ad avere fiducia nelle proprie capacità e affronta la vita con maggiore sicurezza. Educare bambini autonomi nel pensiero comporta conseguenze anche per gli adulti, perché se i bambini pensano sanno anche rispondere, sanno far valere il proprio pensiero e in quel caso possono mettere in luce le nostre mancanze poiché quel principio che tanto vogliamo promuovere deve essere supportato da motivazioni valide e, purtroppo, non sempre le abbiamo.
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