Obiettivi di Sviluppo sostenibile
di Sabina Schiavon
6 Febbraio 2022 12:00
Ricorre oggi, 6 febbraio, la giornata internazionale contro le mutilazioni genitali femminili (MGF). Istituita dall’Onu, questa giornata nasce per far conoscere e combattere quella pratica aberrante, ancora molto diffusa, di rimuovere totalmente o parzialmente gli organi genitali femminili esterni.
La giornata contro le MGF è stata istituita nel 2012 dall’Organizzazione delle Nazioni Unite con la risoluzione 67/146. Voluta all’unanimità, questa ricorrenza vuole ribadire annualmente la tolleranza zero nei confronti delle mutilazioni genitali femminili e altresì chiedere di intensificare gli sforzi globali per porre fine a queste pratiche. Nel 2015, le MGF sono entrate a far parte degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG), target 5.3, che concerne l’eliminazione delle pratiche dannose.
È proprio a tal proposito che Ban Ki Moon, ex segretario Onu, aveva commentato “Gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile contengono un obiettivo specifico che intende porre fine alle mutilazioni genitali femminili. Quando questa pratica sarà completamente debellata, gli effetti positivi si riverberanno sulle società intere: donne e ragazze potranno recuperare la loro salute, i diritti umani ed il loro vasto potenziale”.
Già dal 2008, però, UNFPA (Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione) e Unicef hanno avviato un programma congiunto contro me MGF al fine di accelerarne l’eliminazione. Il progetto congiunto, negli anni, ha raggiunto obiettivi notevoli. Nel 2020, però, si è assistito ad un’involuzione dei progressi fatti fino a quel momento; lo scoppio della pandemia da Covid-19 ha fatto sì che le stime parlino di circa 2 milioni di donne e ragazze in più che, entro il 2030, rischiano di essere sottoposte a pratiche di mutilazione. Questa situazione ha spinto le Nazioni Unite, mediante il progetto congiunto UNFPA-UNICEF, ad integrare la lotta alle MGF negli aiuti umanitari post-crisi.
Le mutilazioni genitali femminili non hanno natura medica bensì culturale. In alcune società sono considerate un rito di passaggio, in altre una pratica necessaria prima del matrimonio e in altre ancora una risposta a credo religiosi. Pur essendo riconosciute a livello internazionale come una violazione estrema dei diritti e dell’integrità delle donne e delle ragazze, si stima che 68 milioni di donne rischiano di essere sottoposte a questa pratica entro il 2030. Le MGF sono diffuse principalmente in 30 Paesi dell’Africa e Medio Oriente, ma non solo: si tratta di pratiche diffuse anche in alcuni Paesi dell’America Latina e dell’Asia. Le migrazioni, però, hanno fatto sì che nemmeno America del Nord, Europa, Australia e Nuova Zelanda siano esenti da tale fenomeno.
"Le mutilazioni genitali femminili sono un reato e una violazione dei diritti umani delle donne. È nostro dovere fermarle” ha commentato la Commissaria europea per l’Uguaglianza Helena Dalli che ha inoltre affermato “Non esistono giustificazioni per una pratica così aberrante. Ci sono tuttavia conseguenze negative devastanti che incidono sulla salute fisica e mentale delle donne, delle ragazze e delle bambine, tra cui infezioni, infertilità e dolore cronico. Questa pratica mette a rischio la vita e il benessere di migliaia di donne, ragazze e bambine e, in certi casi, può causarne addirittura la morte. Sebbene le mutilazioni genitali femminili siano state ormai abbandonate da molte comunità e siano diminuite grazie al graduale cambiamento delle norme culturali, la pandemia di COVID-19 ha rallentato i progressi verso una loro definitiva eliminazione. In periodi di confinamento, mantenere la possibilità di accedere a servizi di prevenzione, protezione e assistenza rimane più importante che mai”.
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