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Psicologia

Bullismo: è cinismo o mancanza di empatia?

La rubrica quindicinale a cura di Raffaele Napolitano

adolescenti bullismo

Immagine di ChatGPT

Negli ultimi anni si moltiplicano gli articoli che parlano di una presunta “guerra al diverso”. Ma chi è, davvero, il “diverso”? E soprattutto: diverso da chi, o da che cosa? Possiamo considerare il termine non tanto come un’identità reale, quanto come un semplice pretesto. Un pretesto banale e pericoloso, spesso utilizzato per colpire qualcuno ritenuto più debole. La sua fragilità, nella maggior parte dei casi, risiede unicamente nella minoranza numerica: il bullo, che a sua volta è un individuo insicuro e raramente agisce da solo, ha infatti bisogno di un pubblico che lo sostenga, che ne ammiri, o finga di ammirare, la posizione di forza. È facile esercitare potere quando si è in gruppo contro una sola vittima, o contro poche persone isolate.

Ma quali sono, realmente, le caratteristiche psicologiche di un bullo? Parliamo di un soggetto che può manifestare comportamenti crudeli, anche se agisce all’interno di un gruppo. Il desiderio di accanimento origina spesso dal leader, mentre i gregari si limitano a sostenere l’azione: applaudono, deridono la vittima, filmano la scena, contribuendo così alla cosiddetta vittimizzazione secondaria e alimentando nel bersaglio sentimenti di vergogna e impotenza.

In diversi dibattiti si è discusso della natura e dell’efficacia della crudeltà espressa dal bullo. Secondo alcune interpretazioni, egli colpisce per insensibilità: non comprendendo il dolore della vittima, infierisce senza rendersene conto. Un filone opposto sostiene invece che il bullo sia dotato di una forma distorta di empatia: sa perfettamente dove colpire e in quale modo farlo, e proprio questa consapevolezza rende più incisiva e feroce la sua azione.

È importante ricordare che il fenomeno del bullismo non è univoco, ma si manifesta con modalità differenti. Esiste il bullismo fisico, caratterizzato da aggressioni corporee, con pugni, calci, spintoni. Vi è poi il bullismo verbale, fatto di insulti, minacce e derisioni. Una forma particolarmente subdola è il bullismo psicologico, in cui la vittima viene emarginata, esposta a pettegolezzi, manipolazioni emotive, svalutazioni e indifferenza sistematica verso il suo stato d’animo. Infine, nel contesto contemporaneo, assume un ruolo centrale anche il cyberbullismo: una violenza che si consuma online, amplificata dalla rapidità di diffusione e dalla potenziale anonimia, rendendo la vittima esposta a un pubblico indefinito e spesso incontrollabile.

Di fronte a questo scenario complesso, appare evidente che il problema non sia il “diverso”, ma lo sguardo di chi decide di trasformare una differenza, reale o presunta, in un’arma. Contrastare il bullismo significa allora intervenire sulle dinamiche sociali che lo alimentano: educare alla responsabilità, rafforzare gli strumenti di prevenzione, sostenere chi subisce e responsabilizzare chi assiste in silenzio. Perché il silenzio, spesso, è la complicità più pericolosa.

Solo riconoscendo il valore della pluralità e promuovendo una cultura dell’inclusione possiamo sperare di trasformare quella “guerra al diverso” in un’opportunità di crescita collettiva. La diversità non è un pretesto: è una risorsa. E proteggere chi ne è portatore significa proteggere la qualità stessa della nostra convivenza civile.

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