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L'editoriale del direttore

Il mondo in corsa chiede meno “ormai” e più responsabilità

"Occorre vestire i panni dell’esercito del fare: questo serve per continuare a meritare la bellezza"

Fretta corsa

La trasformazione corre veloce, più veloce della nostra capacità di capirla e assimilarla.

Il progresso non conosce tregua, circondandoci con strumenti che pensano e agiscono sostituendoci. L’intelligenza artificiale, ad esempio, di cui intuiamo appena le potenzialità, è una delle tappe del cammino che ci sorprenderà ancor di più di quanto faccia oggi, mettendoci alla prova con una pressione crescente. In questo scenario ogni cosa è inserita in un incessante work in progress, scatenando in noi una tentazione indolore, ovvero quella di aggrapparsi alle vecchie abitudini o, ancor peggio, di lasciarsi trascinare dal disfattismo. Adattarsi, al contrario, è una delle vie percorribili più serie, e ciò non significa rinunciare a quello che ci rende meravigliosamente umani. Adattarsi non mette a rischio il nostro essere bellezza attraverso la pittura, la scultura, la musica, il cinema... che restano i linguaggi che più di ogni altra narrazione testimoniano ciò che siamo.

E la bellezza creata dall’uomo non è solo nei musei, ma anche negli spazi delle città e dei paesi che abbiamo prima immaginato e poi costruito per vivere. Custodirla, questa bellezza che ci circonda, è un dovere non delegabile. È uno sforzo che richiede impegno e non atteggiamento rassegnato di chi ripete che tanto “ormai” non c’è più nulla da fare. Quella parola, ormai, ci logora rendendoci immobili nelle emozioni. Emozioni sacre che ci differenziano da processori e microchip. «Ormai quella piazza resta brutta, ormai i politici non ci ascoltano, ormai il cemento ha vinto, ormai comandano i computer...». Ormai è una parola comoda, una via d’uscita per non sporcarci le mani.

E pensare che siamo figli di donne e uomini che nel dopoguerra non dissero “ormai”, ma gridarono “facciamo”. Ricostruirono un Paese dalle macerie con vigore e fantasia, senza mai cedere all’idea che tutto fosse ormai scritto. Per questo dobbiamo tornare in fretta al verbo del fare. La modernità è dichiaratamente una sfida, ma parallelamente un’opportunità gigantesca. Occorre però svestire i panni dell’esercito dell’ormai e vestire quelli dell’esercito del fare: questo serve per continuare a meritare la bellezza.

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