L'aneddoto
di Alex Tacchini
8 Gennaio 2025 13:54
In senso orario: Rino Tommasi con il tennista Björn Borg, da solo, con l'amato amico e collega Gianni Clerici e con Alex Tacchini
La scomparsa a quasi 91 anni del grande giornalista, scrittore e statistico veronese Rino Tommasi presta il fianco per ricordarlo (anche) con un aneddoto di cui sono stato involontariamente protagonista e che chi lo ha vissuto accanto a me quel giorno, non può certo esserselo dimenticato.
La scena si svolge al Modo Hotel a metà Anni ‘90, dove è appena terminata la riunione conviviale del Panathon Club di Vercelli, dell’allora vulcanico presidente Aldo Venè. Tommasi fu da par suo, relatore ovviamente eccezionale e puntiglioso in ogni suo racconto leggendario e precisissimo dato sciorinato, parlando di calcio, tennis e boxe, ovvero le sue passioni su cui costruì una carriera impeccabile. Terminata la serata, quale giovane socio del club, riesco ad accompagnarlo per le scale, verso l’uscita e - con non poca emozione - gli chiedo di darmi una sua veloce “sfumatura” sulla storia della Pro Vercelli: “Ah, come si possono dimenticare sei scudetti”, replica immediato e sorridente, Tommasi.
Il ghiaccio che in quel momento mi pervade lo si intravede probabilmente dall’espressione cangiante del viso: “…Però… gli scudetti sono sette”, non posso che sottolineare con la dovuta deferenza al grande maestro. Che però, in quel frangente, poteva apparire anche come sfrontatezza. Il mitico cronista - raggiunta la reception - si ferma e mi conferma con assoluta fermezza: “No…no…sono sei: ne sono sicurissimo!”.
Nella mia mente, un vortice di sensazioni contrastanti e fulminee mi avvolge, confuso. Ma come, proprio lui, il più grande guru dei numeri e delle statistiche, che “mi” cade proprio sul numero di titoli italiani della vecchia Pro? Ed ora, come fare a non insistere, a non tentare umilmente, ma fermamente di correggerlo? Magari – rifletto, certo del “sette” - gli può essere utile informarlo, magari si tratta di un qui pro quo. Indomito, tento allora di riconfigurargli una via di uscita: “Forse, Rino, lei non conta il titolo vinto dalle Bianche Casacche sotto l’egida della C.C.I. del 1921-22, ma guardi che fu subito riconosciuto dalla FIGC…”.
Tommasi, sorride e conferma: “Ah, beh, certo, lo so benissimo: quello scudetto, anzi, è più valido di quello coevo della Novese!”.
Mi trovo dunque nel più classico degli empasse.
Inaspettato, fantasmagorico, surreale.
Pur sempre un empasse.
Anche perché, a quel punto, non so proprio più come e cosa dire. Mi trovo ad un binario morto di comunicazione.
In aiuto, è fortunatamente lo stesso Tommasi ad aggiungere, resosi evidentemente conto del mio essere attonito e stupito, in quel mio incaponimento su quel numero: “Peccato che poi, dopo le SEI stagioni in Serie A, la Pro Vercelli non ci sia più ritornata. Ah, ecco. Sì, quando dicevo sei, intendevo le stagioni disputate in Massima Serie con questa denominazione, dal ’29 al ‘35: sì, certo, gli scudetti sono sette eccome, mi scusi davvero per il misunderstanding…”, confermando il suo ampio uso della lingua inglese.
È mentre diceva tutto ciò che svelava l’arcano, che mi diede la mano: ed io, è a quel punto, da giovane giornalista di bottega alle prime armi quale ero, che riuscii a strappargli una ambitissima foto. Tra i soci e i vertici del Panathlon che nel frattempo avevano formato un folto capannello per seguire l’inopinata e ardita disputa sui numeri (con chi dei numeri aveva fondato la sua leggenda), scoppiò allora una risata fragorosa.
Tutto si era dunque chiarito: in quei pochi secondi avevo iniziato a comprendere una, tra le tante caratteristiche che si devono tentare di avere se si vuole svolgere questo mestiere: la famosa “calma e sangue freddo”, soprattutto quando tutto, attorno, sembra andare per il verso…numericamente opposto.
Ciao, Rino e grazie per l’insegnamento.
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