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Pro Vercelli Hall of fame

La voce di Ara e l’impresa di Giacopello

L’affascinante racconto del “blitz” che ha portato a conservare la voce del grande campione e allenatore vercellese

Alberto Giacopello

Alberto Giacopello

Era una tiepida mattina di venerdì 4 ottobre del ’74 - di quelle che solo a Roma ti sembra quasi più primavera che autunno - quando dalla via D’Amelio del quartiere Aurelio si vede sfrecciare una Mini Minor Innocenti grigio chiaro pastello, con a bordo quattro “schiacciatissime” persone: nei posti anteriori, due impavidi tifosi della Pro Vercelli, direzione Firenze. In mente, hanno la classica impresa, di quelle che «…Ragazzi: o la facciamo adesso, o mai più».

L’obiettivo è ambizioso, condito da un ampio tasso di probabile insuccesso, ma non per questo preparato nei più piccoli particolari. Articoli sulla Pro Vercelli del Corriere dello Sport nel borsello, bandierone con il Leone e i sette scudetti, sciarpa candida d’ordinanza e magnetofono a bobine, di quelli che usavano ancora ad inizio Anni ‘70.

Già. Perché la nostra storia si dipana pochi mesi prima dell’inizio dell’Anno Santo 1975. Alberto Giacopello e il suo sodale e collega della “Supercolor” (l’azienda dove lavoravano) Walter Ellero (insieme alla moglie di Alberto Emma ed il figlio Alessio) stavano per realizzare invece quello che avrebbe portato a casa il classico scoop che vale una vita: andare ad intervistare il grande centromediano (‘centre-half’, come si diceva allora) Guido Ara, l’uomo dei sei scudetti con la Pro Vercelli, quello del gol su finta in Nazionale contro il Belgio nel 1913, quello del motto “Il Calcio non è uno sport per signorine”, allenatore inflessibile di Pro, Como, Milan, Genoa, Roma e Fiorentina. Proprio Firenze aveva stregato Guido. Uomo d’acciaio, nei muscoli e nello sguardo. Lì aveva trovato l’amore di Gina e si era stabilito, in via Boccaccio. Lì erano diretti i nostri due eroi. Fermati e lasciati moglie e figlioletto dagli suoceri a Poggibonsi, il giorno (e 25 chilometri) dopo, eccoli in centro a Firenze.


Arrivati al civico 60 di via Boccaccio, dove abitava il campione e parcheggiato praticamente davanti, Alberto (che fondò nel 1972 il Pro Vercelli Club Roma) e Walter suonano frementi il campanello con scritto sopra “Ara”. Ad accoglierli è una signora anziana con spiccato accento fiorentino: “Oh-figlioli-oc-chè desiderate?”. Era lei, Gina. La signora Ara.
«Buongiorno, signora, scusi il disturbo: veniamo da Roma. Desideravamo fare solo un breve saluto a Guido Ara».
La signora nega con la testa che si possa fare: «Guido è molto malato e non desidera vedere nessuno. Proprio nessuno. È già così da un po’ di tempo, mi dispiace».
Sullo sfondo, si ode una voce rauca e flebile: «Ma chi è, Gina? Digli che non posso, hai capito».
«Sentito? - dice la consorte - Niente da fare: mi dispiace, ragazzi».
«Ha ragione, signora: allora gli dica solo gli portiamo i saluti dal Pro Vercelli Club di Roma e che siamo partiti stamattina solo per conoscerlo un attimo».
Al nome Pro Vercelli, la veneranda ma tremula voce proveniente dalla cucina cambia improvvisamente viraggio: «Maria! Alura, sa jen dla Pro, digli di entrare!».

I due, commossi e deferenti, vengono allora fatti accomodare al tavolo (con Gina che dice: «Non fatemelo stancare troppo, però»), dove – accanto – c’è una poltrona con un signore anziano, dai pochi capelli ora ancora scuri, ora d’argento, volto scavatissimo e inquietante, occhi pungenti e sofferenti, avvolto nel classico plaid, nonostante la temperatura mite: «Ma… ma ragazzi: è vero che venite da Roma? E che tifate Pro Vercelli?».
«Proprio così - replica Alberto con voce sinceramente commossa - Sa, io nella vita ho sempre avuto un mito sportivo e uno soltanto e questo è proprio lei, caro Guido. Lo devo a mio papà che mi ha instillato l’amore per la squadra più forte che ci fu in Italia per una ventina di anni e che giocava con la maglia bianca. E che, non ci fosse stata la guerra (e lo spareggio l’Inter), avrebbe potuto anche raggiungere i dieci scudetti…».
Il volto di Ara, come in un piccolo miracolo laico, prende ad illuminarsi. In lui, tornarono a scorrere le immagini della sua giovinezza, dello spareggio, delle corse in bici. Di quando era un uomo tutto di un pezzo, atleta d’acciaio, dalla resistenza e potenza inscalfibili. Di quando era uno dei trainer più innovativi ma spietati della nostra Serie A. Rispettato da tutti. Proprio tutti. Ct Vittorio Pozzo in primis.
«Allora Guido, possiamo fare una chiacchierata insieme sui vecchi tempi?», chiede Alberto.
«Certo».

Le bobine del magnetofono “Gelosino” giallo crema portato da Walter con tanto di microfono a filo, iniziano così a girare.
All’inizio la voce di Ara, spiega ancora oggi Giacopello, «…era però molto restia, direi assolutamente non collaborativa. Ripeteva che era stanco, molto stanco, e che non voleva più ricordare il suo passato. Proseguendo, poi, notai invece che stava cambiando atteggiamento e che provava piacere nell'entrare in certi argomenti, e la sua espressione diventava molto più chiara e forte: il suo spirito indomabile di vecchio leone, stava uscendo ancora fuori! Con piacere ricordò, senza esitazione, le parole dell'inno scritto dal padre, ripetendolo e cantandolo a memoria, lasciando così capirne anche la "linea musicale". Arrivò quindi all'incitamento ai tifosi della Pro, con autentico piacere e trasporto. Alla fine di tutto, quando mi chinai su di lui per abbracciarlo e baciarlo, non potrò mai dimenticare la forte stretta della sua mano alla mia spalla. Non era più un anziano signore disincantato e tanto malato: Guido Ara era sempre l'indomabile “mentre grigia” della Pro Vercelli dei sette scudetti. Questo volle trasmettermi. E io lo compresi all'istante».


Guido Ara (classe 1888) morirà pochi mesi dopo, il 22 marzo 1975.
Quasi 50 anni dopo, la sera del 25 novembre 2024, la sua voce presentata da Alberto Giacopello in persona sul palco del Teatro Civico, sono stati protagonisti assoluti all’interno dell’evento di Gala della Pro Vercelli Hall of Fame, per quello che rimane tra i reperti più antichi di voce conservata di un atleta italiano. Si è così completato un cerchio, col ritorno tra gli applausi dell’inno composto da suo papà e da Ettore Berra, per la squadra della città natia.
Emozioni che solo la vecchia Pro è capace di regalarci ancora, intatte, un secolo dopo. Sarebbe bello che nella sua casa di Firenze, un giorno comparisse una targa. Il prossimo sogno è già dietro l’angolo.

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