25 aprile
di Antonio Dattrino
25 Aprile 2024 08:51
ASIGLIANO - Tutti i giorni, alla stessa ora, si incamminava lentamente verso il Camposanto. Era dal 1945 che Luigi percorreva giornalmente quella strada con pioggia o con sole. Noi del paese non ci facevamo più nemmeno caso ma lui aveva lo stesso rimpianto e la stessa forza di volontà del primo giorno, quel triste giorno che Gerardo, suo figlio era stato portato nella camera mortuaria del Camposanto.
Povero Luigi! Quanto ha sofferto anche se gli anni della tragedia ormai si perdevano nel tempo.
Gerardo era sui diciotto anni quando decise di far parte dei partigiani vercellesi; il suo nome di “battaglia” era, “Palmiro”, figlio di Luigi e Teresa Soleri, nato in paese il 30 luglio del 1891. Apparteneva alla XII divisione, 109° brigata “Tellaroli”.
Luigi, uomo molto cauto e riservato, non era dello stesso parere del figlio che, infervorato da idee di libertà, si era tuffato con generosità nella guerra partigiana.
“Stai a casa! Sei troppo giovane per queste cose”. Ribadiva incessantemente al giovane figlio che una sera non fece più ritorno.
Ormai l’ora della “riscossa” era giunta. Doveva anche Lui portare il suo contributo alla nuova Italia!
Pensate il papà “Luis” e la mamma “Tinot” moglie tenera, premurosa e schiva, poco amante dei crocchi ciarlieri delle sue vicine di casa; quale scombussolamento e timore provavano per il loro Gerardo, ancora “nusent” (innocente), impegnato in una guerra che si stava rivelando sempre più atroce!
Gli avvenimenti della Liberazione incalzavano. Le “camicie nere” nei pressi di Salussola, ormai agli ultimi giorni, si scatenavano a razziare animali, a bruciare case e trucidare Partigiani catturati.
E così fu che verso l’imbrunire di una radiosa giornata di primavera del 1945, il paese rimase come paralizzato.
Giovani partigiani a bordo di una “Jeep” militare chiesero dove abitavano Luis e Tinot: recavano la tremenda notizia della morte del figlio, catturato e massacrato dalla rabbia fascista.
Un fremito agghiacciante paralizzò la vita di ognuno del grave momento che il paese stava attraversando: Gerardo non c’era più!
Luigi partì a piedi e si recò a Salussola, non accettò trasporto da nessuno. Muto, incredulo che il suo Gerardo non c’era più!
Il ragazzo giaceva nella stalla della Cascina rastrellata dai tedeschi, avvolto in una coperta dei cavalli.
L’uomo lo volle vedere nonostante lo sconsigliassero di alzare la coperta per avere un ricordo di quando era in vita.
Senza parlare, con il volto scolpito da un dolore indescrivibile, alzò la coperta, quasi per non fargli male; vide il corpo del figlio: gli occhi, le mani, i piedi, barbaramente mutilati.
Un urlo si levò nella stalla e rimbombò nella notte per tutta la tenuta; i presenti non riuscivano a strappargli le braccia dal corpo del figlio, mentre parole confuse e imprecanti si levavano sempre più vigorose verso i suoi carnefici.
Passarono diversi mesi dopo il fatto, ma Luigi non riusciva a persuadersi che Gerardo non c’era più
Tinot, dopo un anno morì di crepacuore per il piangere e l’invocarlo.
Il custode del nostro Cimitero quando vedeva arrivare Luigi, anche se non era giorno di apertura, gli apriva il cancello e chiedeva: “Che ora debbo venire a riaprire?”. La solita ora”, rispondeva il poveretto con voce sommessa.
Luigi si sedeva sulla pietra tombale dove riposavano Gerardo e Tinot e iniziava quel suo lungo colloquio ripercorrendo i giorni in cui tutti e tre sognavano la pace e la serenità.
Un pomeriggio, come tanti altri il custode, al suo rientro nel Cimitero lo trovò là, impietrito con il volto chino su se stesso …. Finalmente il suo Calvario era finito, Si era realizzato il suo desiderio. Aveva raggiunto Tinot e Gerardo.
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