Teatro
di Alex Tacchini
25 Novembre 2023 18:17
Federico Grassi
“…40 anni e non sentirli”, “I suoi primi 40 anni”, “40 anni, ma non li dimostra”.
Dopo aver ponderato non poco, per l’incipit di questo pezzo, ecco come al solito è la semplicità ad aiutarci, architrave di due notizie: il celebrare sia il quarantennale dal debutto sulle scene dell’attore bustocco (ma vercellese d’adozione) Federico Grassi (correva il 13 settembre 1983, al Teatro Filarmonico di Verona in Macbeth con Vittorio Gassman e Anna Maria Guarnieri) sia il trionfale debutto (avvenuto venerdì 24 novembre 2023) della sua nuova, ultima fatica teatrale su Carlo Goldoni, il più grande scrittore italiano di teatro di tutti i tempi, nonché uno degli uomini di maggior successo del Settecento, con “Baruffe, Sottane e Zecchini” di Alberto Oliva, la cui première è andata in scena al “Cajelli”, Teatro Sociale di Busto Arsizio, teatro di cui Grassi è anche direttore artistico - Sezione Prosa - dalla scorsa primavera.
Federico, con il dono della sua sintesi, ci può spiegare perché venire a goderci il "suo, vostro" Goldoni?
Prima di tutto perché è uno spettacolo divertente, pieno di frizzi e di lazzi tipici del 700. Ha molti registri interpretativi, si canta, si balla, si passa dalla commedia a scene drammatiche fino al soliloquio intimista in cui Goldoni ci regala il suo testamento artistico, etico ed estetico. Perché nel nostro libero adattamento dai “Memoires” non portiamo in scena la semplice illustrazione agiografica del grande autore di teatro Goldoni, ma il ritratto dell’uomo Carlo, con tutte le sue ferite, le sue fragilità e debolezze.
Uno dei meriti della sua gestione del "Cajelli" è l'indubbio coinvolgimento di una mole di studenti davvero impressionante. Segreti?
Si, quasi tremila studenti. Un grande successo di cui sono orgoglioso. Il segreto, se ce n’è uno, credo sia la voglia di dedicare loro tempo ed energie, non considerandoli sempre e solo degli svogliati superficiali. Sono fragili e disorientati, ma anche entusiasti e creativi. Si deve essere capaci di sedurli con la nostra passione e smuovere la loro immaginazione: allora si assiste a dei veri miracoli, come avviene sempre quando si mette “l’umano” al centro di tutto, l’umano al posto del mercato.
Federico, anzi, Direttore, ora riavvolgiamo il nastro e partiamo dal suo debutto, che avvenne sotto l’ala meravigliosa di un maestro come Vittorio Gassman e la sua “Bottega”.
I maestri scelgono i loro allievi attraverso selezioni, ma credo sia altrettanto vero che l’allievo scelga il maestro. Almeno, per me è stato così. Avevo vent’anni e fra le varie accademie scelsi la Bottega Teatrale di Firenze: volevo diventare un allievo di Gassman. Fortunatamente andò come desideravo e così è cominciato il mio lungo viaggio teatrale, una carriera di cui festeggio oggi il quarantennale. Un viaggio che mi ha reso un uomo felice e libero. Ho avuto la fortuna e il privilegio di lavorare con tutti i più grandi della scena italiana che mi hanno insegnato tanto, ma per me il Maestro rimane Gassman. L’artista più ricco di talento che abbia mai visto. Un uomo estremamente intelligente, colto, generosissimo. Portava la sua maschera da mattatore invincibile, su un animo sensibile, fragile e malinconico.
Da lì in poi, un crescendo che definire a 360 gradi non è riduttivo, ma reale. Con Turi Ferro ci fu una sorta di simbiosi, vero?
Con Turi Ferro ho avuto il rapporto professionale più longevo della mia carriera. Una collaborazione durata più di dieci anni attraverso i grandi allestimenti pirandelliani e altri classici da Moliere a Shakespeare. C’è stato, nel tempo, anche qualche focoso scontro fra di noi: Turi Ferro aveva in palcoscenico una forte personalità, ma anch’io quanto a carattere me la cavavo. È stato un rapporto sincero, autentico. Considerava la compagnia teatrale come una famiglia, e mi ha tenuto per così tanto tempo come un figlio. Non potrò mai ringraziarlo abbastanza.
Ed ora, un aspetto che forse in pochi ricordano e che strappa un sorriso crediamo ricco di nostalgia. Diretto da grandi registi come Strehler e Sequi, lei ha lavorato in tutti i più importanti Teatri Stabili italiani e Compagnie private (Piccolo Teatro Milano, lo ‘Stabile’ del Veneto, Stabile di Catania, Istituto Nazionale del Dramma Antico di Siracusa per le rassegne delle tragedie greche, la Plexus di Lucio Ardenzi, il più grande impresario teatrale privato italiano) e collaborato con tutte le più grandi personalità del teatr o italiano (Albertazzi, Dario Fo, Pieera degli Esposti, Aanna Proclemer, Gilulia Lazzarini), ma, in mezzo a tanto lavoro"alto", anzi altissimo, ci fu un momento in cui il giovane Federico Grassi era l'idolo delle teenager italiane che seguivano Kiss Me Licia, sulle allora reti Fininvest (oggi Mediaset, ndr)!
Quella fiction tutta Made in Italy aveva come titolo “Arriva Cristina” per la precisione ed era uno dei tanti spin-off tratti dall’anime giapponese. Ancora oggi qualche adolescente di allora mi cerca sui social o viene in teatro a vedermi. Mi fa molto piacere. Quella fu una vera palestra per imparare i segreti della fiction televisiva. Esperienza che mi è servita più avanti.
Con Cristina D’Avena vi sentite ancora?
No, con lei personalmente non ci sono stati più contatti. Ma semplicemente perché le nostre rispettive strade ci hanno portato altrove. Chissà, magari in futuro potrebbero incrociarsi di nuovo. Sono tanti ancora invece i fans di quelle serie che ci tengono legati con i loro ricordi che ci ripropongono ancora oggi.
…D’altra parte, lo confessa anche Carlo Goldoni “(…) La maggiore ricchezza che Dio mi ha dato? Una tranquillità di temperamento che mi fa resistere a ogni prova”, a cui Grassi, riesce a donare mille sfumature per raccontare una personalità così tormentata e poliedrica, in cui una delle imprescindibili architravi è proprio la leggerezza. Qualche mese fa, invece, era impegnato con uno strepitoso lavoro firmato Luigi Pirandello. Cosa le ha lasciato il recente lavoro di ricerca sull'Enrico IV?
Tanto, mi ha lasciato tanto addosso questo personaggio. La sua follia, la sua tensione filosofica ed estetica sono cose che mi portò dentro. E poi la consapevolezza della solitudine. Si nasce e si muore da soli. Un po’ come in scena. E si deve imparare l’abbandono, il precipitare. Se si vuole amare davvero.
Federico. Ornella Muti, Fanny Ardant, e molte, moltissime altre. Quali, tra le grandi attrici, le è rimasta più impressa?
È una risposta facile. Credo che Giulia Lazzarini sia la più grande attrice italiana del nostro tempo. Mi innamorai,studente adolescente, del teatro vedendola fare Ariel nella Tempesta con la regia di Strehler. Molti anni dopo mi ritrovai a lavorare con lei al Piccolo Teatro diretti dal maestro. Provai la sensazione felice che nella mia vita era accaduto qualcosa. E compresi quanto lei fosse grande.
Certo che, aggiungiamo noi, la vita fa dei giri strani. Specialmente se si calcano con successo le scene italiane ed internazionali (Grassi è atteso nei prossimi mesi a Madrid e Montevideo), per quarant’anni.
E qualche mese, ovviamente.
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