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La storia della Pro

Quando la Pro Vercelli "rifornì" il primo Grande Torino del '29

Ardissone, Zanello e Baiardi con i Granata che col Bologna salparono per una tournèe in SudAmerica

Bologna e Grande Torino 1929

Le squadre del Bologna e del Torino che dominarono il campionato 1928-29

In fondo, da quel triplo, combattutissimo spareggio che aveva assegnato lo scudetto 1928-29, uno dei più incerti della storia del nostro massimo Campionato di Calcio, erano passati solo pochi giorni.

Alla fine, in quel torrido (e sportivamente “inoltrato”) 7 luglio fu il Bologna a spuntarla contro il Super Torino del presidente conte Enrico Marone Cinzano (italiano, ma cresciuto nei barrios di Buenos Aires, lo stesso che diede il via alla nascita dello stadio Filadelfia) e del “Trio delle meraviglie Julio Libonatti-Adolfo Baloncieri-Gino Rossetti” che era di fatto arrivato al capolinea del suo primo vero grandioso ciclo. Quello che l’aveva condotto a giocarsi il titolo in 3 stagioni consecutive: il primo (1926-27) culminato con la grande beffa della revoca dello scudetto a causa del discusso “Caso Allemandi” (e col titolo che per la seconda volta sarebbe rimasto vacante: la prima fu nell’interruptus 1914-15, poi però corretto dalla FIGC, con la postuma assegnazione “naturale” al Genoa). Quindi col primo scudetto del 1927-28, per arrivare ai tre match che si dovettero giocare per sancire la squadra campione d’Italia 1928-29.

L’andata, il 23 giugno al Littoriale di Bologna fu vinta dai felsinei di Schiavio per 3-1, ma il Toro fece suo il ritorno, vinto per 1-0 (in rete Libonatti). La bella si giocò a Roma, allo stadio Nazionale del Pnf (lo stesso della finale Mundial ’34) in cui risultò decisiva la marcatura sul finire del secondo tempo (82’) dell’ala mancina rossoblù doc, il ragionier Giuseppe Muzzioli, detto “Teresina”, bravo - dopo una splendida azione personale di "Angiolino" Schiavio - a sparare sotto la traversa da appena fuori area il pallone che trafisse Bosia. Muzzioli – grande appassionato e driver di cavalli da corsa nelle prove di trotto - morirà ad appena 37 anni nel 1941, dopo una malattia fulminea.

Il Bologna era dunque campione per la seconda volta (e anche nel ’24-25 si dovette ricorrere ad un quintuplo spareggio col Genoa e Muzzioli fu protagonista del "gol non gol" della terza finale contro il Grifone, quando con una tipica cannonata delle sue accorciò le distanze dopo il doppio vantaggio genoano). Mentre al Toro toccava masticare ancora una volta amaro. Dal Sudamerica, però, l’invito dell’ennesima tournèe, fu spiccato ad entrambe le squadre leader italiane. E se per il Bologna (privo di Busini I, Della Valle e Pozzi) fu al tempo stesso premio e contropartita alla squadra campione con crociera sul "Conte Rosso" (con tanto di bella vita, ballerine e champagne: contropartita perché la concomitanza con lo spareggio scudetto aveva impedito agli emiliani di debuttare nella Mitropa Cup, che nel 1929 vedeva per la prima volta la partecipazione di club italiani), quella del Toro non fu da meno. Entrambe le spedizioni (o meglio, l’unica spedizione congiunta) godevano di giocatori-rinforzo rispetto alle rose titolari, con campioni prestati dagli altri club (Roma, Alessandria, Pro Vercelli - motivo precipuo della nostra narrazione di questo evento - Bari, Modena, Livorno e Milano) per l’occasione. Il Bologna (capitanato dal dirigente Sabattini, l’organizer della tournée, coach Felsner e il fedele massaggiatore Bortolotti) fu arricchito dai milanisti Compiani (portiere), Tansini (ala), e Schienoni (terzino), il mediano modenese Dugoni, l'ala destra barese Costantino, il livornese Magnozzi e infine lo straordinario tandem alessandrino Giovanni Ferrari-Banchero (mezz'ala e centroavanti). Sembrava che la carovana petroniana dovesse essere composta da diciotto giocatori, ma all'ultimo momento nella distinta rossoblù venne a mancare il forte terzino vercellese e pro-vercellese Zanello, il quale aveva ricevuto il divieto dalla società di Bozino e Tommasucci di partire col Bologna (sancendo così una naturale rivalità tra i due club), e quindi aggregandosi last-minute con il Torino. Le 2 squadre salparono insieme da Genova sul transatlantico “Conte Rosso”. Insieme a Zanello, ebbero l’onore di militare in quel Torino anche due pro vercellesi fortissimi e leggendari: Luigi Baiardi e Mario Ardissone.

Facciamo ora un sostanzioso passo indietro per capire come – 12 mesi prima, ovvero nell’estate 1928 - si fosse sviluppata quella stagione così fatidica per il calcio italiano, campale perché avrebbe scelto le future partecipanti alla Divisione Nazionale “A” (che in seguito tutti chiameranno Serie A) 1929-30: ad essa avrebbero avuto accesso le prime otto squadre classificate dei due gironi eliminatori, "A" e "B" di sedici squadre ciascuno. Oltre al bronzo olimpico appena conquistato in giugno dall’Italia nel calcio, l’agosto del ’28 issa, se possibile, ancor più in alto la leggenda di Marcello Bertinetti.

Il nostro moschettiere-fondatore-allenatore portò infatti la compagine nazionale sul gradino più alto dei Giochi di Amsterdam nella spada a squadre. Con Marcello gli altri coequipier vittoriosi della medaglia d’oro in quel 5 agosto 1928 allo Schermzaal (la moderna “Fencing Hall” allestita dall’architetto Jan Wils, a due passi dallo stadio olimpico della città olandese) furono Agostoni, Cornaggia-Medici, Minoli, Basletta e Riccardi. Dopo il bronzo di Rosetta, è dunque la seconda medaglia olimpica messa al collo di un vercellese in pochi giorni. La Vercelli sportiva dunque ha di che gongolare, anche se in città si trattiene il fiato perché non si sa ancora se l’11 pedatorio dei propri beniamini sia ancora in grado di reggere il passo degli squadroni delle grandi città e dei grandi poteri.

(Foto: cortesia Grande Album della Pro Vercelli)

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