La storia della Pro Vercelli
di Alex Tacchini
13 Aprile 2023 15:38
La scomparsa del possente attaccante Gino Raffin, mancato a 86 anni a Turate (Como) lo scorso 2 aprile 2023 (lascia la moglie Giovanna e le figlie Patrizia e Laura) fa affiorare nella mente dei tifosi della Pro Vercelli una stagione stupenda e finita disgraziata allo stesso tempo, in cui l’ex attaccante “dai grossi piedi” della Juventus, nato a Gonars (Udine) il 1° giugno del 1936 giocò - ormai a fine carriera - 20 gare con le Bianche Casacche, mettendo a segno 3 reti.
Il campionato per ricordarlo è il 1967-68 e la categoria è la Serie D. Quella bianca del presidente Francesco Frola è certamente la formazione più forte e continua del Girone A: ad allenarla è Livio Bussi. Ex talentuoso terzino destro del Torino prima dei cinque epici scudetti (ovvero dal 1937 al 1942), il tecnico di Bozzole (paesino dell’alessandrino dove era nato il 2 ottobre del 1917), dopo aver indossato le maglie di Vicenza, Biellese e Como giocherà nel triennio 1946-49 nel Novara di Piola e Ferraris II (conquistando una storica promozione in A nel 1947-48 con le casacche color del cielo), per poi chiudere con Piombino e Fossanese. Il team cuneese sarà quello del debutto in panchina di Bussi, carriera che l’avrebbe portato a vincere due campionati di Serie D con l’Ivrea nel 1960-61 e a Verbania nel 1965-66. A Vercelli arrivò dunque sulle ali dell’entusiasmo, che sarà subito ripagato. All’ombra del Sant’Andrea allenerà due anni, vincendo il primo dei due campionati, alloro che però sarà incredibilmente degradato a fine stagione a causa di un presunto illecito sportivo di cui il club di via Massaua sarà clamorosamente accusato, in una vicenda che ai tempi seppe tanto di ingenua spy-story in miniatura nella cui ragnatela i dirigenti della Pro caddero, non riuscendo però mai a dimostrare la loro innocenza in sede di giustizia sportiva. Anche perché “a fare muro” ci furono i preparatissimi e impeccabili legali di una corazzata (in tutti i sensi) di un gruppo industriale come appunto fu la squadra aziendale di Genova Pegli denominata “Gruppo C”, laddove la “C” stava per Costa Crociere, dell’armatore Franco Costa, in cui l’imprenditore vi giocava anche da centravanti (il suo campo di allenamento e gioco era il “Pio XII”, attualmente sede esclusiva degli allenamenti del Genoa, a Villa Rostan di Pegli). Quel campo, sorto accanto alla dimora patrizia costruita fra il 1564 e il 1568 da Augusto Lomellini, fu intitolato al primo ‘Pontefice sportivo’ e inaugurato dal Card. Giuseppe Siri nel 1956. Sua Eminenza aveva infatti giocato a calcio nei “boys” del Genoa, nutrendo un affetto sempre particolare per la squadra rossoblù, mentre la sportività di Papa Pacelli Pio XII deriva dal fatto che - per primo - riconobbe nello sport uno dei migliori strumenti di comunicazione di massa. Ne è un esempio la giornata del 9 ottobre 1946, quando Sua Santità accolse a Roma più di 50.000 sportivi che sfilarono per le vie fino in Piazza San Pietro. È al “Pio XII” che la Pro Vercelli impattò per 0-0 col Gruppo C alla 13.a giornata (17 dicembre 1967).
Torniamo dunque a quel tumultuoso epilogo del 1967-68. Alla fine, alla Pro Vercelli vincitrice del Girone A saranno inflitti 4 punti di penalizzazione, condannati, spiegò la sentenza, per “aver promesso tramite un loro collaboratore, al segretario del Gruppo C Genova la somma di 110.000 lire (diecimila lire per ciascun giocatore) per incitarli a battere due squadre rivali, il Casale e la Sestrese”. Fatto perlomeno curioso, data la potenza appunto dell’armatore, che non avrebbe certo spostato di un millimetro il benessere suo e dei suoi giocatori, né del mister ex Alessandria Gian Battista “Bacci” (o ‘Giobata’) Opisso. Sull’assurdità dell’accusa che ai vertici del club di via Massaua, pur dopo il primo, provvisorio e negativo grado di giudizio del 27 giugno ’68 (il dirigente ligure Ferrari disse di aver riconosciuto il presunto emissario vercellese ad una riunione di Lega tenutasi a Pegli!), erano così convinti che tutto si sarebbe comunque risolto in una bolla di sapone, tanto che iniziarono a sensibilmente rinforzare la squadra nell’estate del ’68 per poter affrontare in maniera efficace la neo conquistata Serie C con gli innesti del centravanti Paolo Tonelli dalla Sanremese (a sostituire proprio Raffin) e l’ala sinistra Carlo Bissacco dalla Sampdoria. Il 27 luglio di quella calda estate del ’68, però, anche la CAF riconoscerà la definitiva responsabilità della Pro, gettando nel più cupo sconforto i tifosi vercellesi. Nel frattempo il "Gruppo C" era retrocesso in Promozione (insieme a Ligorna ed Asti), avendo chiuso il campionato al penultimo posto, raccogliendo appena 28 punti in 34 partite.
Di quella stagione, in pochi ricordano invece di come - sebbene con esito diverso - anche un’altra squadra, l’Imperia, venne coinvolta in una altrettanto strana questione di presunto illecito. Conquistata la salvezza soltanto all'ultima giornata, a spese dell'Asti (non il Macobì: il capoluogo vinicolo quell’anno ebbe due team nello stesso girone), grazie ad un ottimo finale di stagione, per festeggiarla i nerazzurri liguri dovettero aspettare l'esito la sentenza degli Organi federali, che nel frattempo avevano penalizzato la società di tre punti, con l'accusa di illecito sportivo: se questa sentenza fosse stata confermata, l'U.S. Imperia sarebbe automaticamente retrocessa. L'accusa rivolta verteva su una persona non identificata, che l'11 marzo 1968, si sarebbe avvicinata a Ravenna, ad un dirigente del Ligorna, offrendo giocatori di quel club, impegnati contro il Sestri Levante, diretta contendente dell'U.S. Imperia nella lotta per la salvezza, un premio in denaro, ammontante a 150.000 lire in caso di vittoria e alla metà in caso di pareggio. Per la cronaca, il Ligorna perse la partita. Lo stesso giorno, lo stesso Ravenna, nel corso di una riunione della Lega Nazionale semi-professionisti, riconoscerà nel dirigente neroazzurro dell’Imperia Ernesto Giorgi la persona che lo avrebbe avvicinato prima della gara e subito denunciato la vicenda all'Ufficio Inchieste. Il Presidente neroazzurro, l'avvocato Arcangelo Musso, indossati i panni di difensore dell'U.S. Imperia 1924 inoltrò il ricorso in cui non fu negata la presenza di Ernesto Giorgi, presente sì a Ligorna, “ma solo per osservare che la gara si svolgesse in maniera regolare e non per corrompere qualcuno”. Tanto bastò, a differenza del caso della Pro Vercelli, per far sì che il ricorso imperiese fosse accolto, dopo un supplemento di indagini. Il club di piazza d'armi sarà dunque assolto dall'accusa “…perchè l'imputazione di illecito non sussiste” e poté restare in Serie D, giocando dunque ancora con la Pro la stagione successiva. A vincere quella Serie D fu dunque l'Asti Ma.Co.Bi., con due punti di vantaggio sulla Pro Vercelli (43 contro i 45-4 =41 delle Bianche Casacche). Una nota di colore: il mister del Macobì Asti era un certo Raffaele Cuscela, che tre anni dopo avrebbe lui condotto i Leoni vercellesi alla promozione in C dopo il doppio spareggio con la Biellese.
Sin qui le vicende di colore e giudiziarie. Che però è giusto che non lascino offuscare (come invece avvenuto) l’impresa vittoriosa della squadra di Livio Bussi, a ben guardare superiore di quella narrata nella leggenda della monetina del giugno 1971. Raffin (59 presenze e 23 reti in Serie A e 96 presenze e 33 reti in Serie B) aveva esordito in Serie A con la maglia della Juventus - allenata dal portiere campione del mondo ’38 Aldo Olivieri il 30 gennaio 1955 - in Sampdoria-Juventus (5-1). Nel campionato 1954-55 disputò tre incontri in bianconero (accanto a Viola, Boniperti, Manente, Montico, Muccinelli, Bronée e Praest), andando a segno in occasione della vittoria interna sulla Pro Patria (rete iniziale del 4-2 finale, al 9’ del 1° tempo, addì 30 gennaio 1955: 17.a giornata). Per la Juve fu una stagione delicata, conclusa con un deludente 7° posto e in cui si avvicendarono addirittura 4 presidenti: Giovanni Agnelli, Enrico Craveri, Luigi Cravetto e Marcello Giustiniani. Lasciata la Juve, Raffin avrebbe poi proseguito la carriera in Serie C con le maglie di Lecco, Biellese (allenato dal vercellese di Palazzolo Piero Castello e segnando la rete della vittoria laniera contro la Pro Vercelli il 22 settembre del 1957, allo stadio “Lamarmora”) e Livorno (in cui iniziava a spiccare un giovane Armando Picchi), per poi passare nel 1960 al Venezia in Serie B. Con 17 reti trascinò i lagunari (allenati da un altro vercellese illustre, Carlo Alberto Quario) alla vittoria del campionato cadetto (con due giornate ancora da giocare grazie alla vittoria per 1-0 sull'Alessandria) e disputò anche due campionati in Serie A; nel 1963 Gino passa al Brescia, realizzando 12 reti in una stagione che avrebbe visto la promozione delle Rondinelle se non fossero state penalizzate di 7 punti. Quindi due stagioni al Palermo (città di cui si innamorò e in cui andò a vivere) e la Pro Vercelli di Bussi. In cui debutta alla 1.a giornata contro l’Albenga (1-0, addì 24 settembre 1967) e va a segno tre volte. Già alla 2.a giornata PRO VERCELLI-SANREMESE 2-1 (1 ottobre 1967), contro la Cossatese (1-1 alla 4.a giornata) e al 27’ del primo tempo della pesantissima vittoria sulla diretta concorrente Macobì Asti del 14 gennaio 1968 al “Robbiano (16.a giornata). Quel giorno, agli ordini di Livio Bussi scesero in campo Branduardi, Michelone, Benassi, Picardi, Jussich, Bosetti, Bruno Rossi, Calvi, Zarino, Stara e Raffin. Nessuno poteva lontanamente immaginare cosa sarebbe avvenuto di lì a cinque mesi, tra le scartoffie dei tribunali sportivi, in quella che è rimasta tra le estati certamente più rimosse, vincenti, ma meno tramandate dai tifosi del Leone Bianco.
Continua sul numero de La Sesia di venerdì 14 aprile
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