La storia della Pro Vercelli
di Alex Tacchini
9 Marzo 2023 18:59
Carlo Biraghi (foto: cortesia Grande Album della Pro Vercelli)
“… Forza Biraghi, Menti e Buscaglia/col vostro gioco fate mitraglia/E tu Aldo Boffi non fare il sornione/Metti a bersaglio il tuo tiro-cannone”: era questo uno degli slogan più suggestivi ed in voga nel 1939-40 tra i tifosi del Milan (pardon “AC Milano”, ovvero la denominazione che volle il regime).
Un Campionato di Serie A duro (poi vinto dall’Ambrosiana-Inter senza Peppino Meazza fermato “dal piede freddo”, ma con gli assist al bacio del vercellese Ferraris II, davanti al Bologna campione uscente e alla Juve), perché a cavallo tra inizio della Seconda Guerra Mondiale (1° settembre 1939) e l’ingresso dell’Italia nel conflitto (10 giugno 1940), laddove quel torneo di Massima Serie si svolse proprio tra il 17 settembre 1939 e il 2 giugno 1940, terminando quindi giusto una settimana prima del drammatico e sciagurato annuncio di Benito Mussolini ai “… combattenti di terra, di mare e dell'aria” dal balcone di una a dir poco delirante quanto inconsapevole piazza Venezia. L’estate prima (’39), era stata vissuta sul filo delle preoccupazioni e di una certa incoscienza, alleviata proprio dall’inizio del nuovo campionato di calcio. Nel club rossonero, che aveva visto poco prima dell'inizio della stagione il cambio al vertice (dopo il semi-flop del ‘38-39) tra il presidente Emilio Colombo ed Achille Invernizzi, il calciomercato apportò notevoli ingressi, alla corte del (confermato) duo di allenatori József Bánás-József Violak: così, i nuovi arrivi al Milan(o) si chiamarono Bruno Chizzo, Piero Pasinati, Enrico Boniforti e dal vivaio rossonero il futuro allenatore della Pro Vercelli (1957-59), nonché apprezzato scultore nel dopoguerra, Paolo Todeschini. L’altra ed ultima pedina di lusso che andava a rafforzare i rossoneri si chiamò Giovanni Biraghi.
Anche se per la verità, tutti, ma proprio tutti, lo chiamarono sempre Carlo (e quindi mai all’anagrafe si chiamerà Giovanni Carlo, come erroneamente riportato da più fonti). Biraghi, nato a Giussano il 25 novembre 1913, era un’ala sinistra veloce e potente, che si era messa in luce grazie ai due ottimi campionati di Serie B con la Pro Vercelli 1937-39, in quella che era già diventata a tutti gli effetti la sua città di adozione. All’ombra del Sant’Andrea e giocando al “Robbiano”, Biraghi aveva trovato l’amore, che portava i lineamenti dolci e appassionati di Elda Bosso, lei sì, vercellese doc. Dal matrimonio nasceranno due figli: Claudio Biraghi nel 1939 (che lavorerà alle Argenterie Emanuelli, Pastore e Sambonet, arrivando a militare anche nella Pro Vercelli Riserve, rigorosamente nel ruolo di attaccante, come il papà fromboliere) e Annarosa Biraghi, venuta alla luce nel 1946, futura maestra elementare e a sua volta mamma della dottoressa Alessandra Guiglia, attualmente farmacista, presso la “Comunale” di corso Torino, di Vercelli.
Ad aiutarci tra i meandri dei ricordi della sua famiglia è il figlio di Claudio (e nipote di Carlo), Enrico Biraghi (da anni “formatore” e trainer vendite per un’azienda che collabora con Ford Italia), manco a dirlo grande tifoso delle Bianche Casacche. Di quelli che - come molti - quando seguono la partita “stanno male e si isolano in tribuna a soffrire”. Torniamo allora al nonno di Enrico: Carlo, forte attaccante mancino, 1.73 m, per kg 74 di peso forma, aveva tirato i primi calci nella squadra della sua città, la Vis Nova Giussano (debuttando nel 1933 come mediano, dove il trainer Cesare Dell’Orto lo reinventerà ala mancina, facendolo di fatto diventare ambidestro), che aveva appena sfornato un campione come Aldo “Aldun” Boffi (quello della filastrocca di inizio pezzo, quello che “sgonfiava i palloni grazie alla incredibile e violenta potenza impressa dal suo tiro”: 109 gol in maglia rossonera, nonché 3 volte capocannoniere della Serie A e 2 volte Nazionale Azzurro, perché chiuso da un rivale che di nome fa Silvio Piola), che successivamente verrà ceduto al Seregno e quindi al Milan, dove dunque avrebbe ritrovato nel ‘39 l’amico e concittadino come compagno di squadra, dopo averci giocato insieme per le strade polverose e l’oratorio della cittadina di Alberto, mitologico protagonista della battaglia di Legnano (29 maggio 1176) contro Federico Barbarossa. Al Milan, Carlo Biraghi (che ci arriva dopo un biennio in Serie C 1935-37 con la Falck di Sesto San Giovanni, città a due passi da Milano nella quale aveva anche trovato lavoro, in fonderia e dove proprio il Milan del 2025 vorrebbe erigere il suo nuovo stadio) si alternerà tra prima squadra e Campionato Nazionale Riserve, con la quale si laureerà Campione d’Italia 1939-40.
Nella Pro Vercelli 1937-38 del presidente Antonio Bodo e allenata da Ivo Fiorentini, Biraghi formò un pacchetto offensivo a dir poco micidiale, segnando 9 reti giocando insieme a Ettore Brossi (18 gol), Pietro Svageli (9 gol), Lanfranco Alberico (6 gol), Giuseppe Pozzo (4 gol) e Dante Rossi (1 gol). Bocche da fuoco scatenate che regalarono un campionato di Serie B orgoglioso e sereno, tanto che le 54 realizzazioni complessive leonine varranno il terzo miglior attacco della Cadetteria. Una partita, su tutte, rimarrà impressa nei tifosi delle Bianche Casacche, il 9-0 nei confronti del malcapitato Pisa. I nerazzurri “marinari” guidati in panchina dall’ungherese Joszef Ging sono tutt’altro che una squadra peregrina, ma in quel 30 gennaio del ’38, al “Robbiano” non ci capiscono davvero niente.
Ad aprire le danze sarà proprio Biraghi dopo appena 3 minuti (e farà tripletta), poi doppietta di Svageli (per lui, dopo quella trionfale del 1936-37, è un’altra stagione eccellente, come costante spina nel fianco delle retroguardie avversarie che, impiegate nel controllarlo, liberano spazi preziosi per gli altri avanti vercellesi), così come faranno bis sia Brossi, sia Ramella. La questione è che nella porta pisana non ci fosse un goalkeeper qualsiasi, ma quel Paolo Vannucci (detto I) che - allenato da Vittorio Pozzo – sarà medaglia d’oro alle Olimpiadi di Berlino del 1936: per lui, raccoglierne 9 nel sacco, rappresenterà un assoluto unicum in carriera (sarà forse anche per questo che, all'età di 25 anni deciderà di smettere col calcio per dedicarsi totalmente, con altrettanti brillanti risultati, alla professione di avvocato). Insomma. “Biraghino”, che è pure bello e aitante, si è messo definitivamente in luce: nel torneo di B successivo (38-39), giocando ora accanto a Quario (20 reti e molti degli assist arrivano proprio da Carlo) e Salati (7 gol), affinerà le doti di intelligenza tattica (ma anche andando a segno 7 volte), trovandosi quindi pronto per il grande salto e a chiamarlo al Milan sarà dunque l’amico Boffi.
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