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I 130 anni della Pro Vercelli

La prima volta del libero in Italia

La tattica è applicata dal vercellese Piccaluga, allenatore del Grion Pola

130 anni Pro Vercelli

L’articolo del “Piccolo della sera”, prima testimonianza dell’uso del libero in una partita giocata in Italia

È una domenica, quel 14 gennaio del 1940. E la domenica, ovviamente, si gioca al pallone.

La guerra è già in corso, ma l’Italia, per ora, se ne tiene ancora fuori. Mussolini osserva da un lato e si sta preparando dall’altro. La vita fluisce, normale. Anche se il baratro si intravede, tutto scorre come se nulla fosse. Si gioca a calcio in tutta Italia e in Italia ci sono anche l’Istria e la Dalmazia. E Fiume (l’odierna Rijeka). Allo "Stadio Comunale del Littorio di Borgomarina" (l’attuale “Kantrida”) in programma, quel pomeriggio alle ore 15:00, si gioca l’attesissimo derby dalmata-istriano tra la Fiumana allenata dal concittadino del capoluogo Marcello Mihalich, detto “Marzelin” (già Azzurro nel ‘29 e Campione d’Italia con la Juventus 1933-34) e il Grion Pola, 14.a giornata del Girone A della Serie C 1939-40. L’impianto sportivo è di per sé già leggendario: è quello in cui, durante una partita tra il Comando Militare e una rappresentativa di Fiume del 7 febbraio 1920 (periodo della cosiddetta “Reggenza del Carnaro”), debuttò un inedito ed elegante triangolino bianco, rosso e verde sul petto dell’11 azzurro dei militari, ideato dal vate Gabriele D’Annunzio. Lo stesso, che - fortemente voluto e avallato dal presidente della FIGC Bozino e col nome definitivo di “scudetto” - campeggerà dal campionato 1924-25 in poi sulle maglie dei campioni d’Italia (prima uscita ufficiale nell’amichevole Genoa-Alessandria 3-3 del 28 settembre 1924, a Marassi; quindi in campionato, il 5 ottobre, con la Cremonese).

Sulla panchina del squadra ospite, caratterizzata da una casacca “nero stellata”, del tutto identica a quella del Casale (ma più che in onore del glorioso team monferrino il nero è ispirato da motivi politici degli Arditi che - saliti su una nave americana – pare ne strapparono una bandiera, staccandone quindi una stella bianca, per poi appuntarsela al petto) siede invece il vercellese Angelo Piccaluga, che come sapete abbiamo adottato come “nostro Virgilio” nella storia del Calcio Italiano. Angelo è conosciutissimo, nell’ambiente. Rispettato e ben voluto da tutti. D’altronde è uno che sin da piccolo, altalenante allievo di Ragioneria all’Istituto “Cavour” di corso Regina Margherita a Vercelli (oggi Corso Italia), studia il calcio e ne è innamorato, in tutte le sue forme e applicazioni. Appesi gli scarpini al chiodo, dal calcio non riesce a stare lontano. E allora il naturale sbocco è diventare allenatore. Di quelli che studiano, che conoscono, che cercano. Che innovano, rischiando. Ed è in quel giorno, in quella partita che Piccaluga applicherà il concetto tattico di libero per la prima volta in Italia.

Concetto rivoluzionario passato in giudicato come essere italiano, ma di fatto applicato col suo verrou e Catenaccio dal trainer viennese Karl Rappan al suo Servette degli anni ‘30 (e alla Nazionale Svizzera, capace di eliminare nientemeno che la Germania, rafforzata dai talenti del Wundeteam austriaco, dai Mondiali 1938), togliendo un uomo al centrocampo per porlo dietro alla linea dei difensori. Da noi, diverrà verbo tattico diffusissimo, tanto da indurre a pensare che fosse un’italica invenzione: nel dopoguerra sarà la scuola triestino-danubiana di Marco Villini e Nereo Rocco, ma soprattutto del trevigiano Gipo Viani (col suo celebre “Vianema” alla Salernitana). A parlare chiaro è l’articolo del giorno seguente il match uscito sul Piccolo della Sera a firma di Mario Grassi (nella foto), in cui si parla di «schieramento sinora mai praticato», «con un mediano “liberato” in difesa, che può dedicare le proprie cure alle mezzeali avversarie nelle loro incursioni» (probabilmente Ervino Cateni, ndr), «esempio che non ci meraviglierebbe venisse seguito da squadre di alta statura». Insomma, il collega Grassi ci aveva visto lungo. E, anche se per la cronaca il match finirà 2-0 per la Fiumana, il dado tattico era ormai tratto. Di sicuro, con netto anticipo rispetto a quello che riportano le cronache sin qui conosciute, sull’avvento del libero in Italia.

A raccontarci tutto ciò è stato il nipote di Piccaluga, Angelo Casalone (classe 1950), che vive ad Asti e addirittura la figlia stessa di Piccaluga, Liliana, che alla veneranda età di 95 primavere al telefono da San Desiderio di Calliano (At) ricorda con incredibile e impressionante lucidità le gesta del suo caro papà: “La nostra famiglia aveva un’osteria ben avviata nei pressi del campo sportivo (non ancora stadio “Robbiano”, che è del 1932, l’attuale “Silvio Piola” di via Massaua, ndr), in una strada che conduceva al rione Billiemme. Papà non terminò gli studi, lasciati al penultimo anno, perché aveva in mente solo il pallone e quando riuscì a debuttare nella Pro Vercelli, subito con ottimi risultati, in famiglia nessuno riuscì a tenerlo più, lanciatissimo come appariva in questo tipo di carriera”. La figlia Liliana non dimentica certo i momenti difficili del distacco dall’Istria ai primi mesi del ’43: “Per fortuna, il prefetto di Fiume era un piemontese di Ottiglio: consigliò immediatamente alla mia famiglia di lasciare la città via nave nella notte e di tornare in Piemonte, abbandonando così due enormi casse contenenti quel poco che eravamo riusciti a racimolare da casa sul molo del porto (“che per altro giunsero poi a casa, con nostra incredibile sorpresa”, continua a narrare Liliana). Mio papà rimase invece in città ancora per una settimana, per poi riuscire a raggiungerci, ma col cuore in gola per i suoi amici che - catturati - furono deportati in Grecia, per non tornare mai più”.

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